Breve introduzione alla musica generativa di Brian Eno

di Michael Bracewell

I sistemi di musica generativa di Brian Eno sono soprattutto conosciuti per la creazione di brani musicali riccamente intessuti: avvincenti quanto minimali, densi di piani musicali e allo stesso tempo raffinati da curve delicate, flussi e ricami di suono.
La sua collaborazione con Mimmo Paladino nell’installazione nota come I Dormienti, esposta per la prima volta nel sotterraneo della ‘Roundhouse’ di Londra nell’autunno del 1999, ha segnato nel contempo l’avanzare e il consolidarsi della creazione di sistemi musicali che Eno ha praticato nel corso di tutta la sua carriera; e più specificatamente nel dirigere la musica generativa verso concetti come tempo, casualità e contesto. Così il suo interesse per la musica generativa è divenuto, in certo modo, una ricerca sul passaggio del tempo.
L’idea di creare sistemi musica generativi è stata centrale nel lavoro artistico e teorico di Eno fin da quando era studente alla Winchester School of Art, alla metà degli anni Sessanta. Notoriamente Eno ha citato il lavoro pionieristico di Steve Reich del 1965, It’s Gonna Rain - in cui un nastro con la registrazione del sermone di un sacedote pentecostale viene riprodotto, quasi in forma di campione, a differenti velocità – sostenendo che abbia avuto grande influenza sul suo pensiero. Ma l’evoluzione di Eno come ideologo, ‘nonmusicista’ e artista si è sempre fondata su una formidabile combinazione e fusione di entusiasmi che talvolta possono apparire inconciliabili. In verità è proprio da questo amalgama di concetti opposti, e dalla tendenza di Eno a metterne continuamente in discussione ogni evoluzione, che scaturiscono la sua originalità, la sua fibra intellettuale e la sua ansia creativa.
I primi coinvolgimenti di Eno con la musica generativa abbracciano sia il panorama del rock progressivo che la ricerca dell’avanguardia classica inglese. Nel 1968, accompagnato alla chitarra da un compagno della Winchester School of Art, Eno ‘suona’ un generatore di segnali – in pratica uno strumento di controllo per apparecchiature di laboratorio, e quasi totalmente inadatto come strumento musicale. Qualche tempo dopo, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, Eno aderisce entusiasticamente alla Portsmouth Sinfonietta e alla Scratch Orchestra. Queste erano formazioni musicali composte da membri con caratteristiche e qualità molto diverse, le cui esecuzioni di partiture divenivano tanto imprevedibili quanto istintivamente poetiche, la loro ricerca di un’armonia musicale è paragonata da Eno ai comportamenti di gruppo negli stormi di uccelli.
Entrambe queste esperienze formative fecero aumentare l’interesse di Eno nei confronti della relazione tra sistemi e caso – interesse che si sarebbe evoluto nel suo lavoro durante gli anni Settanta, assumendo una consumata eleganza (sebbene senza una conclusione) nel leggendario album del 1975 Discreet Music. Nella introduzione pubblicata sulla custodia del disco, Eno riassume il suo pensiero sulla musica generativa: “Dal momento che ho sempre preferito concepire piani, piuttosto che eseguirli” scrive, “ho gravitato alla volta di situazioni e sistemi che, una volta divenuti operativi, potessero creare musica con interventi minimi o addirittura senza interventi da parte mia. Cioè, io tendo al ruolo di programmatore e pianificatore e in seguito a quello di ascoltatore dei risultati.”
Il sistema di musica generativa creato da Brian Eno quasi quindici anni dopo per I Dormienti è perfettamente in linea con queste affermazioni, il concetto che sta alla base viene raffinato e perfezionato dagli sviluppi della tecnologia e del pensiero dell’artista. Applicando una tecnica estetica compositiva sontuosa, meditativa, che egli ha affinato con capolavori del minimalismo
musicale come Thursday Afternoon (1985), al processo di casualità e durata possibili grazie alla tecnologia del CD, Eno ha creato un sistema di stratificazione imprevedibile che, come ha scritto per I Dormienti nel 1999, permette un tempo di esecuzione “nei fatti infinito.”
La natura olistica della creatività di Eno, e il modo in cui egli consente al processo creativo di essere esso stesso opera d’arte, è sempre stata dichiarata: la confluenza della creazione di suoni e di immagini, per esempio, in 77 Million Paintings (2006), o la ricerca collegata e simultanea sulla natura delle campane e il concetto culturale di tempo, come descritta nel suo Bell Studies... del 2003. Qui, il suo radicalismo in divenire risiede nell’abilità di rendere il concetto, il processo e il prodotto assolutamente sinonimi. L’estetica perciò diviene l’alibi per mettere in discussione e riconfigurare il processo, che a sua volta diviene opera d’arte. Relativamente al contesto questo metodo di creazione artistica ha la capacità di essere straniante quanto seducente – e quindi acquistare un latente contenuto politico.
C’è, al cuore della fascinazione di Eno per la creatività generativa, una profonda affermazione della capacità dell’arte di celebrare ed elevare la condizione dell’esperienza umana. “Sono interessato solo all’arte,” dice “che esprima e celebri la vita.” Ed è forse questa nozione di essere senziente – della progressione della vita attraverso stati differenti, variazioni di un unico tema che fluttuano nella coscienza – che è oggetto dell’arte generativa di Eno, e che raggiunge grande eloquenza nella collaborazione con Mimmo Paladino.

gennaio 2008